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disse un giorno al giovane De Brosses, nel 1739 “s’est toujours fait siffler dans l’un, tandis qu’il réussissoit fort bien dans l’autre” (lett a M. De Malateste, in Lettres familières, Paris, 1869, vol. II, p. 316). Lo stesso De Brosses sembra alludere alla sua avidità di guadagno in altra lettera, dove dice: “Vivaldi s’est fait de mes amis intimes, pour me vendre des concertos bien cher”. E aggiunge: "C’est un vecchio, qui a une furie de composition prodigieuse"; ma si stupisce che a Venezia non sia molto apprezzato: “J’ai trouvé, à mon grand étonnement, qu’ il n’est pas aussi estimé qu’ il le merite en ce pays-ci, où tout est de mode”, dove il pubblico presto si stanca degli autori prediletti (voi. I, p. 193).
Per la bibliografia del Vivaldi rimando al saggio citato del Salvatori. Delle sei lettere pubblicate nel 1871 dallo Stefani, molto importante quella del 16 novembre 1737 al marchese Guido Bentivoglio di Ferrara, in cui il vecchio maestro accenna ai quattordici anni di viaggi per l’Italia e l’Europa con le sorelle Giraud, e ai suoi mali fisici: riprodotta pure dal Salvatori. Da quella s’indovina come il Vivaldi fosse spesso premuto dal bisogno, a cagione del grave dispendio, e perciò incalzato a un lavoro rapido e affannoso come i grandi maestri del Settecento, come il Galuppi stesso, come il Goldoni, come il Tiepolo. Nell’elenco delle Opere teatrali manca l’Aristide, e non si accenna agli Intermezzi goldoniani del 1735 e del 36 (il Filosofo, Monsieur Peiiton, la Bottega del caffè, l’Amante cabala: v. vol. precedente), alcuno dei quali ebbe forse le note musicali dal Prete Rosso. Nei citati Commemoriali del Gradenigo, vol. IV, in data 1761, vedo bandito da Venezia “Francesco Vivaldi giovane peruchier fratello del famoso D. Antonio suonador di Violino” per atto sconcio a persona nobile. Trattasi, credo, di un nipote. Sulle composizioni del Vivaldi che si conservano a Torino, vedi A. Gentili in Rivista Musicale Italiana, 1927, fasc. 3.
Il Goldoni dedicò l’Aristide al Lalli per mezzo d’un curioso sonetto dove si lagna che ai poeti manchi l’aiuto dei Mecenati. A chi vuol alludere?
Forse evitò in questo modo il pericolo d’inimicarsi il Lalli, al quale spettava il privilegio delle dediche dei nuovi libretti ai magnati veneziani. Tutti sanno che Sebastiano Biancardi, nato a Napoli nel 1679 di famiglia civile, fu costretto a fuggire dalla patria sotto accusa di sottrazione di denaro dal Banco della SS. Annunziata, a cui era addetto, o almeno di poca vigilanza. Riparato a Venezia sui primi del Settecento, assunse il nome di Domenico Lalli, strinse amicizia con lo Zeno, diventò col suo mezzo direttore dei teatri Grimani di S. Samuele e di S. Gio. Crisostomo, e dal 1710 fin quasi alla morte, nel 1741, compose un gran numero di drammi per musica, d’Azioni sacre, d’Intermezzi buffi e di cantate, di cui si può veder il catalogo nel saggio di Michele Scherillo, La prima commedia musicale a Venezia, stampato nel 1883 nel I vol. del Giornale Storico della Lett. It. e ristampato più tardi in appendice all’Opera buffa Napoletana, nella Collezione Settecentesca Sandiron, Palermo, 1916. Per la biografia vedi pure il Mazzucchelli, Scrittori d’Italia e D’Afflitto, Memorie degli Scrittori del Regno di Napoli, Napoli, 1794. Il Goldoni “fu sempre in buona armonia ed amicizia col Lalli” che gli cedette nel ’35 la direzione degli spettacoli musicali nel teatro di S. Samuele (vol. I, p. 107) e nel ’37, come pare, anche quella del teatro di S. Gio.