Fabrizio. Tu me parle tidisca, io non t’intendo.
Conte. Fedelissimo servo,
Batti tu a quella porta.
Fabrizio. A quale porta?
Conte. A quella.
Fabrizio. Io non la vedo.
Conte. Finger dei che vi sia.
In vece della porta,
In un quadro si batte o in una sedia,
Come i comici fanno alla commedia.
Fabrizio. Aggio caputo, ma famme una grazia;
Perchè da tozzolare aggio alla porta?
Conte. Acciò che la mia bella
Venga meco a parlar.
Fabrizio. Ccà sulla strada?
Conte. È ver, non istà bene,
Che facciano l’amor sopra la strada
Civili onesti amanti,
Ma ciò sogliono usar i commedianti.
Fabrizio. Sì, sì, tozzolerò; ma se qualcuno,
Quando ho battuto io, battesse a me?
Conte. Lascia far, non importa, io son per te.
Fabrizio. O de casa.
Laura. Chi batte? (di dentro
Fabrizio. Sono io.
Laura. Serva sua, signor mio.
Fabrizio. Patron, chessa è per me.
Conte. Chi siete voi,
Quella giovine bella?
Laura. Io sono Colombina Menarella.
Conte. Di Diana cameriera?
Laura. Per servir vussustrissima.
Fabrizio. Obregato, obregato.
Conte. Deh vi prego,
Chiamatela di grazia.