Ho tanto camminato,
Che mi sento di già mancare il fiato.
Vorrei seder un poco.
Chi è di là? V’è nessuno?
Conte. Madama, vi son io.
Lindora. Da sedere... Oh perdoni,
Non v’aveva1 veduto.
Conte. A tempo son venuto. (le dà una sedia
S’accomodi.
Lindora. Mi scusi...
Conte. Anzi al provido Ciel le grazie io mando,
Perchè degno mi fe’ di suo comando.
Lindora. (Non mi dispiace, è tutto gentilezza).
Ma chi è lei, mio signore?
Conte. Son il conte Bellezza,
Un vostro servitore,
Obbligato, divoto e profondissimo.
Lindora. Anzi mio padronissimo.
Conte. Deh, mi conceda l’alto onor sovrano
Di poterle baciar la bianca mano.
Lindora. Ahi!
Conte. Cos’è stato?
Lindora. M’avete rovinato il mio ditino.
Toccate pian pianino;
Son tanto delicata,
Che non posso sì forte esser toccata.
Conte. Leggerissimamente
Alzo la lattea delicata mano,
E con l’avida bocca...
Lindora. No, no, che se mi tocca
L’acuto pelo che vi spunta al mento,
Mi vedrete cadere in svenimento.
Conte. Lo farò con tal arte,
Che voi ne stupirete;
- ↑ Così Tevernin e Zatta. Nella stampa ferrarese del 1749: Non l’avevo.