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NOTA STORICA

Forse a Modena, nell’estate del 1748, prima ancora di giungere a Venezia dopo cinque lunghi anni di assenza, ebbe il Goldoni l’invito di scrivere un dramma giocoso per il teatrino di San Moisè e scelse un argomento davvero ridicolo: Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.

Dire del Bertoldo di Giulio Cesare Croce dopo gli studi vecchi e recenti del Guerrini (La vita e le opere di G. C. Croce, Bologna, 1879), di G. Nascimbeni (Il nome e l’origine di Bertoldo, in Archiginnasio, gennaio-febbraio 1914), della Cortese-Pagani (Il Bertoldo di G. C. Croce e i suoi fonti, in Studi Medievali, vol. III, 1908-1911), di Ezio Fiori (Di G. C. Croce e del suo Bertoldo, in Archiginnasio, 1923, n. 4) e d’altri ancora, come il D’Ancona, il Masi, il Provenzal e infine Ada Rondinini (Lelio della Volpe e l’ed. del Bertoldo, in Archig., 1928, n.1 3-4), sarebbe cosa vana. Proprio in principio di quest’anno 1929 l’editore Argentieri di Spoleto ristampò con gran lusso il popolare Bertoldo, adomato dai venti rami del Crespi, detto lo Spagnolo, con una bella introduzione d’Antonio Baldini (che di Marcolfa parlò anche nel Corriere della Sera, 17 ott. 1927) e un’altra edizione ci diede più di recente il Formiggini, fra i Classici del ridere, per cura di A. Lisi. - Tutti sanno come il buon contadino di S. Giovanni in Persiceto ricavasse per gran parte le Astuzie sottilissime di Bertoldo, di cui la Cortese-Pagani ricorda un’antica stampa milanese del 1606, anteriore alle bolognesi, da certo Dialogo de Salomon e Marcolpho che uscì a Venezia fin dal 1502, oltre che da altre storie care al popolo, come quella di Campriano contadino e come le Buffonerie del Gonnella. Le origini poi di Marcolfo si ritrovano, nientemeno, nel favoloso Oriente. All’astuto Bertoldo il Croce stesso regalò un figlio sciocco, Bertoldino, e più tardi il frate Adriano Banchieri di Bologna, nascosto sotto il nome di Camillo Scaligeri della Fratta, aggiunse un insulso nipote, Cacasenno. La gaia invenzione del Croce incontrò immensa fortuna fra la gente di campagna: poiché il Bertoldo, che non è opera letteraria, bensì una rozza compilazione di aneddoti e di sentenze, rivendica l’umile villano maltrattato per tanti secoli dalla satira dei letterati, e strappa le risa ai semplici lettori e uditori del contado. La curiosa trilogia si sparse dappertutto in umili stampe popolari (v. anche Pietro Pancrazi, Bertoldo e famiglia, in Corriere d. Sera, 2 febbr. 1929, e Giuseppe Prezzolini, Fine di Bertoldo, nella Stampa, 23 marzo 1929; e ultimo Luigi Tonelli che, giustamente, mette Bertoldo sotto processo, nei Libri del giorno, ottobre 1929).

Nel 1732, come provò la Rondinini, in una lieta brigata che frequentava la bottega dell’onesto libraio Lelio della Volpe, a Bologna, sorse l’idea di cantare in ottava rima il rustico eroe; e il compito fu distribuito fra venti poeti, dieci dei quali bolognesi, un canto per uno: i più famosi erano il padre Giampietro Riva, il dottor Gioseffo Pozzi, il dottor Flaminio Scarselli, il marchese Ubertino Landi, il Frugoni, il Baruffateli, lo Zampieri e Giampietro Zanotti che scrìsse poi un canto anche per il fratello Francesco Maria. Uscì