Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1929, XXVII.djvu/25


ARISTIDE 17

SCENA II.

Xerse1 e detti.

Xerse. Se il bel volto d’Arsinoe io mi rammento,

Ardo d’amor. Ma se sovvienmi2 ch’ella
Moglie è di quel per cui vacilla il regno,
S’accende nel mio cor l’ira e lo sdegno3.
Che farò? Sì, risolvo
Bearmi in lei pria che tramonti il giorno;
Ma vuò che il regio affetto
A me sia di piacere, a lei di scorno.
Carino.
Carino.   Signor Sire,
Che comanda da me?
Xerse.   Tu questo foglio
Reca ad Arsinoe.
Carino.   Oibò.
Xerse.   Come?
Carino.   Non voglio
Che mi venghi sul dorso un qualche imbroglio.
Xerse. Prendilo, temerario. Io vuò che tosto
Ad Arsinoe lo porte,
O incontrerai nel mio furor la morte.
Carino. Carino meschinello,
Ora sei fra l’incudine e il martello.
Xerse. Risolviti, se no...
Carino.   Signor, lo prendo.
Di già far il mezzano
È l’ uso familiar del cortigiano.
Xerse. Alla donna superba
Dirai, che se sottrarsi
Pensa dal mio volere, invan lo spera,
Ch’io son re vincitor, lei prigioniera.
  

  1. Nell’ed. Zatta (t. 35, I della cl. IV, 1794): Serse.
  2. Edd. Tevernin e Zatta: soviemmi.
  3. Zatta: fiamma di sdegno.