Re. Dunque, s’io non regnassi,
Meritar non potrei da te rispetto?
Bertoldo. Signor, vi parlo schietto:
Tutti nudi sian nati,
Tutti nudi morremo;
Levatevi il vestito inargentato,
E vedrete che pari è il nostro stato.
Erminio. Troppo libero parli.
Bertoldo. A me la lingua
Pel1 libero parlar formò natura:
Quel che sento nel cor, dico a drittura.
So che sincerità fra voi non s’usa,
Che dalla Corte esclusa,
La bella verità sen va raminga;
So che convien che finga,
Chi grazie vuol sperar dal suo sovrano;
So che l’uomo da ben fatica invano.
Io, che grazie non curo,
Che insulti non pavento,
Dico quel che mi pare, e quel che sento.
Re. (L’audacia di costui non è disgiunta
Da un maturo consiglio). Amico, io lodo
La tua sincerità. Ti bramo in Corte.
Vuoi tu meco venir?
Bertoldo. Venir in Corte?
S’io venissi colà, povero voi!
Poveri i cortigiani! In poco tempo
Scoprir vorrei, con il mio capo tondo,
I vizi della Corte a tutto il mondo.
Erminio. Di quai vizi favelli?
Bertoldo. Non mi fate parlar: segrete trame,
Maldicenze pungenti,
Calunnie, tradimenti,
- ↑ Nell’ed. Fenzo, 1749: per.