Carino. Chi mi sveglia? Il demonio? Oh me meschino!
Aristide. Perchè fuggi così?
Carino. Ahi, che mi sento
L’anima distillar per lo spavento.
Aristide. Non mi conosci ancor? Son io pur quello...
Carino. Vattene per pietà, demonio fello.
Aristide. Son pur quel tuo padron...
Carino. Il mio padrone
È Aristide di Grecia, e non Plutone.
Aristide. Aristide son io.
Carino. Lasciate un poco
Che meglio vi contempli. Agli occhi, al naso,
Alle spalle, alla vita, ai piedi, al tergo,
Alla voce senz’altro io vi discerno.
Adunque morto siete,
E lo spirito vostro andò all’inferno.
Aristide. No che vivo son io.
Questi neri colori
Son da me finti ad arte.
Carino. Per qual cagion?
Aristide. Per iscoprir la fede
Della consorte mia.
Carino. Male, malissimo.
Vi ponete, padrone, a un gran cimento.
Chi sapere e veder troppo desia,
Spesso discopre quel che non vorria.
Aristide. Dimmi, sei noto al re?
Carino. Sì, mi conosce
Per un servo d’Arsinoe.
Aristide. Eccolo appunto.
Guarda non mi scoprir; con la tua morte
Pagheresti 1 il delitto. (si ritira
Carino. Non temete, signor, ch’io starò zitto.
- ↑ Ed. Valvatente: Pagaresti.