Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1929, XXVII.djvu/158

150 ATTO TERZO
Conte.   Va via. Come facesti,

Misero, ad impazzir? Codesto è figlio
Del nobile marchese Cavromano,
Che venne in casa mia sin da Milano.
Fa che venga, Gazzetta, e sia presente
Al sublime Imeneo.
Tu sarai testimonio. (a Pancrazio
Contessina.   Un vil plebeo?
Conte padre, non voglio.
Cacciatelo di qua.
Lindoro.   (Cresce l’imbroglio).
Gazzetta. Ho cerca e recercà per tutti i busi1,
No se trova el marchese.
E solo s’ha trovà sul taolin
L’abito ch’el portava e el perucchin.
Conte. Che imbroglio è questo mai?
Pancrazio.   Tutto saprete.
Son io quel gran marchese,
Che con enormi spese
Venendo da Milan per valli e monti,
Spianò campagne e fabbricò dei ponti.
Contessina. Stelle!
Conte.   Come! Lindoro...
Lindoro. 8A’ vostri piedi,
Signor, eccovi un reo.
Pancrazio. Levati su di là, vile, plebeo.
Non conosci, non vedi,
Che non sei degno di baciargli i piedi?
Troppo la nobiltà del conte offende
Un uomo mercenario,
Che d’aver la sua figlia e spera e prega.
Vanne, figlio plebeo, vanne a bottega.
Conte. Son confuso.
Contessina.   Son morta.

  1. Buchi, angoli.