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148 ATTO TERZO


SCENA II.

Sala dei Conte.

Il Conte, Gazzetta e detti.

Conte. Da’ ordine, Gazzetta,

Ai miei guardaportoni,
Che non lascino entrar gente ordinaria.
Oggi che le sublimi
Nozze si devon far della mia figlia,
Tutto il paese inarcherà le ciglia.
Venga la nobiltà; ma non s’ammetta
Al grande onor della veduta nostra,
Chi almeno dieci titoli non mostra.
Gazzetta. Lustrissimo, ho paura
Che poca zente vegnirà.
Conte.   Perchè?
Gazzetta. Perchè ghe ne xe tanti
Che fa da gran signori,
Ma quando po le prove
Della so nobiltà se ghe domanda,
I mua descorso1, e i va da un’altra banda.
Mi ghe n’ho servìo tanti,
Che pareva marchesi e prenciponi,
E i ho scoverti alfin birbi e drettoni2. (parte

SCENA III.

Il Conte, poi la Contessina e Lindoro.

Conte. Costui non dice male; anch’io son nato

In bassissimo stato, e pur veggendo
Che ognun mi riverisce e mi fa onore,
Parmi talor ch’io sia nato un signore.

  1. Mutano discorso.
  2. Astuti, ingannatori: v. Boerio.