Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1929, XXVII.djvu/152

144 ATTO SECONDO
Nei tesori serbati alle sue mani,

Altro che il gran signor degli Ottomani.
Contessina. (Oh miei felici amori,
Mentre a parte sarò de’ suoi tesori!)

SCENA X.

Lindoro e detti.

Lindoro. Marchese padre.

Pancrazio.   Marchesino figlio.
Lindoro. Che siate ben venuto.
Pancrazio. Più bello sei da che non ti ho veduto.
Contessina. Non degnate mirarmi?
Lindoro.   Eh mia signora,
Se lo sposo vi reca affanno o tedio,
Il duca cicisbeo porga il rimedio.
Pancrazio. Oh questa è bella!
Contessina.   Come? Vi sdegnate,
Perchè di cicisbeo m’ho proveduto?
Lindoro. Di cicisbeo non so, nè d’altra cosa;
So ch’io voglio esser sol, signora sposa.
Pancrazio. (Fingi, pazienta un poco,
Fin che finisca il gioco).
Contessina.   E che parlate,
Signori, fra di voi?.
Pancrazio. Consolo il figlio negli affanni suoi.
Ah, marchesino, osserva
Nella tua contessina
A te quale bellezza il Ciel destina:
Che volto, che maestà, che ciglio altero!
È degna d’un impero.
Dal suo fastoso aspetto
L’alta sua nobiltà si scorge e vede.
(Dico per minchionarla, e non s’avvede).