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LA CONTESSINA 141
Un titolo mostrar posso ogni giorno.

Conte. Poffar bacco baccon, quest’è ben molto!
Pancrazio. Vi dico il ver, non son mendace o stolto.
Olà, prendi, Salame,
Aprimi quel baullo, e qua mi reca
Li privilegi miei.
Conte. Non s’incomodi, no; lo credo a lei.
Pancrazio. Non sono un impostor. Mirate qua:
L’arbore è questo di mia nobiltà.
Ecco l’autor del ceppo mio: Dindione,
Re de’ galli e galline,
Da cui per linea retta anch’io discendo;
Sovra il regno degli ovi anch’io pretendo.
Conte. E con ragion.
Pancrazio.   Ecco il mio marchesato
Fra cavoli e verzotti situato.
Questa qui è una contea
Ereditata da una dama ebrea.
E questo è un prencipato,
Il di cui feudatario fu appiccato.
Mirate quattro titoli in un foglio:
Conte, duca, marchese e cavaliero.
Ecco li quattro stemmi:
Un cane, un mulo, un gatto ed un braghiero.
Conte. Anche un braghiero?
Pancrazio.   Sì, vi pare strano?
Mirate qui quest’altro marchesato
Ch’ha per arma le corna d’un castrato.
E poi volete in corto
Veder ciò ch’io possiedo? Ecco raccolto
In questa breve carta il poco e il molto:
Trecento mila campi,
Che rendon cadaun anno
Trenta e più mila scudi sol di paglia,
Settecento villaggi all’ombelico,