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LA CONTESSINA 123
Contessina. Quanto rìder mi (anno

Certe donne plebee, che voglion farla
Da signore di rango!
Si vede ch’io non son nata nel fango.
Gazzetta. Eh, se vede in effetto,
Che l’è nata tra l’oro e tra el zibetto.
Contessina. Guarda, se non m’inganno: ah sì, gli è desso;
È il marchesin mio caro.
Oh questo sì, ch’è degno
Dell’amor mio. Vanta fra’ suoi maggiori,
Ricchi d’immense entrate,
Seicento e più persone titolate.
Gazzetta. Schienza1! Co l’è cussì, la compatisso.
So el mio dover al par di chi si sia.
Dago liogo alla sorte, e vago via. (parte

SCENA IV.

Contessina, poi Lindoro.

Contessina. Ehi Lesbin2, ehi Taccone, ite alla porta:

Il marchese che giunge, ricevete.
Sapete il dover vostro, o nol sapete?
Ah per una mia pari,
Che tutto il galateo ritiene in mente,
È cosa da morir con questa gente.
Lindoro. Contessina, m’inchino.
Contessina.   Addio, marchese.
Lindoro. Permettete?
Contessina.   Anzi sì.
Lindoro.   Che bella mano!
Contessina. Da tanti e tanti sospirata invano.

  1. Piccola scheggia pungente. Qui è interiezione. V. Boerio.
  2. Così l’ed. Fenzo (1743); nelle edizioni posteriori è stampato Lesbina.