Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1929, XXVII.djvu/121



NOTA STORICA

Anche dopo il Rutzvanscad (1724), l’allegra parodia del nobiluomo Zaccaria Vallaresso, continuavano i letterati a scrivere e a difendere le tragedie "grecheggianti", le quali, a dire la verità, con Eschilo e Sofocle non aveano che fare; e il pubblico nostro continuava a preferire agli eroi antichi gli zanni moderni. Può darsi che qualche letterato, più o meno grecizzante, di Venezia, oppure di Padova, battezzasse col titolo di mostri il Belisario, la Rosmonda, la Griselda e le altre note tragicommedie con cui il giovane Goldoni si credeva in buona fede di correggere il gusto malato del pubblico e di rifare a poco a poco il teatro. Quel falso mondo greco-romano che formava lo scenario dei melodrammi dello Zeno, del Metastasio e dei minori seguaci, doveva apparire bene spesso grottesco a chi ruminava dentro di sè nell’avvenire la sincera realtà delle Baruffe chiozzotte. Già il Buini, poeta e compositore bolognese, aveva fatto rappresentare nella sua città, nel carnevale del 1728, il Malmocor, “tragicissimo Drama per musica” (v. G. Rossi, Varietà letterarie, Bologna, 1912, p. 165 e sgg.), e nella fiera dell’Ascensione del 1731 a Venezia (S. Moisè) l’Artaganamenone “Drama tragichissimissimo” (v. Wiel, p. 105).

Non è strano che anche al nostro dottor Carlo, tornato allora da Genova con la sua Nicoletta, venisse voglia di prendersi un po’ di spasso alle spese degli eroi antichi, facendo la parodia dei melodrammi greco-romani; e l’infelice vittima fu Lucrezia romana. Più volte la moglie di Collatino aveva eccitato la fantasia dei nostri poeti tragici: ci pensò financo l’Aretino, sebbene non fosse tenero per la pudicizia. E più giusto che scrivesse una Lucretia, in prosa, monsignor Paolo Regio, vescovo di Vico Equestre (2• ediz. Napoli, 1572: v. Allacci). Ricordasi prima di lui il bolognese Gabriello Bombace, autore d’una Lucrezia Romana; altra, ma inedita, lasciò Bartolomeo Zito, napoletano (Croce, Teatri di Napoli, Napoli, 1891, p. 67); viene poi la Lucrezia di G. B. Mamiano (Venezia, 1625 e 1626: v. E. Bertana, La tragedia, Milano, Vallardi, 1906, pp. 137-139); segue un altro secentista, il Cardinal Giovanni Delfino, patrizio veneziano, con altra Lucrezia (Belloni, Seicento, Milano, Vallardi, p. 259), stampata con le altre Tragedie a Utrecht (Venezia?) nel 1730 e poi a Padova dal Cornino nel 1733 (v. Salfi, continuazione della Histoire littéraire d’Italie par Ginguené, Paris, Michaud, t. XII, pp. 60-64). Una Lucretia Romana, sconciata in prosa per uso dei teatri popolari, stampò nel 1692 a Venezia Giovanni Bonicelli, l’autore del Pantalon spezier (Lucretia Romana violata da Sesto Tarquinio con la saggia Pazzia di Bruto Liberator della Patria, opera tragica in prosa: Drammaturgia di L. Allacci, ed. Venezia 1755; v. pure Cicogna, Inscrizioni Veneziane, vol. III, p. 250, e catalogo delle opere di teatro che si ritrovano presso Dom. Lovisa, libraio a Rialto): dalla quale dovette derivare lo scenario con lo stesso titolo che si legge nel famoso Gibaldone di D. Annibale Sersale (voi. II, n. 51), ceduto dal Croce alla Biblioteca Nazionale di Napoli.