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donò. “In questo per me sì amabile divertimento passai in Feltre felicemente l’inverno e parte della primavera”: scrisse poi il commediografo veneziano (vol. I cit., p. 48). L’edizione Zatta dice, nel sottotitolo: “Intermezzo di tre parti per musica rappresentato per la prima volta a Feltre, l’anno MDCCXXIX”. Era questa notizia negli appunti spediti dal vecchio commediografo al tipografo, da Parigi? Si può intendere che sia indicato l’anno veneto, il quale durava fino ai 28 febbraio del 1730, o l’anno comico, il quale finiva col carnovale. Forse le recite si replicarono più volte, ma non credo avessero luogo nel mese di giugno come avrebbe affermato, in una noticina, il misterioso copione del Conte Dei (Musatti, l. c. Il Bustico nel suo studio sui Drammi, cantate, intermezzi musicali di C. Goldoni, estratto dalla Rivista delle Biblioteche e degli Archivi, a. III, 1925, p. 25, cita a questo proposito per inavvertenza la Bibliografia Bellunese del Buzzati, che della Cantatrice non fa menzione).

Già nel 1727 un intermezzo intitolato la Cantatrice era uscito dalla penna di Sebastiano Biancardi napoletano, più noto col nome di Domenico Lalli (Ortanio in Arcadia) e fu cantato sul teatro di S. Samuele a Venezia con musica del maestro Pescetti; e nel giugno del ’29 fu ivi ripetuto, per la Sensa (v. Allacci, Drammaturgia, e Wiel, l. c., e Piovano, Rivista musicale cit., 1906, fasc. 4, pp. 688-689). Ma un dialogo in dialetto bolognese, La Cantatriz, troviamo fin dal 1703 nei Rimedi per la sonn da liezr alla banzola, di Lotto Lotti, spesso ristampati (C. G. Sarti, Il teatro dialettale bolognese cit., pp. 76 e 80 sgg.); nel 1715 uscì per la prima volta a Lucca la Dirindina, farsetta (o intermezzo) per musica del bizzarro scrittor senese Girolamo Gigli; e nel 1720 il carattere della cantatrice o virtuosa, con accanto la Signora Madre, vediamo argutamente tratteggiato da Benedetto Marcello nel celebre Teatro alla moda. Si ricordi poi la Dorina metastasiana nell’Impresario delle Canarie (Napoli, 1724). Pure a Napoli, nel teatro dei Fiorentini, si cantò nel carnovale del 1728 un’opera buffa o “commeddea pe museca” in tre atti, la Cantarina, d’ignoto autore (Croce, l. c., p. 243 sgg.) L’argomento era dunque di moda in quelli anni; altre canterine e cantatrici e virtuose apparvero in gran numero nel teatro, nel romanzo, nella poesia giocosa del Settecento, e più d’una incontrammo nelle commedie stesse del Goldoni: nella Bancarotta, nel Teatro Comico, nell’Impresario delle Smirne e perfino nella Locandiera.

Ma nella Pelarina non ravvisiamo che una sola faccia del tipo tradizionale delle virtuose di teatro: l’avidità dell’avventuriera che, con l’aiuto della madre, spoglia lo sciocco innamorato. Artisticamente non vive, quantunque conosca già il suo potere femminile e l’arte di ricevere i regali senza ringraziare (Ortolani, Settecento ecc., p. 419). A Giulio Caprin parve quasi “un abbozzo” della ballerina Olivetta, nella Figlia obbediente (C. Goldoni ecc., Milano, 1907, p. 102): altri potrebbe ricordare la Clarice, nella Bancarotta. Ma il Goldoni e il Gori avevano in mente cert’altre rapaci arpie degl’intermezzi. Volpiciona, la madre, è più vivace nella seconda parte, travestita da Canacchiona: questa merciaiola ambulante delle callette veneziane precorre gli arguti immortali tipi popolari della commedia goldoniana. Tuttavia il personaggio più buffo, per quanto grottesco, è Tascadoro: d’una