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privati, ricorre spesso il nome di intermezzi musicali, ma non sembra che si tratti mai di quelle caratteristiche farsette che a Venezia si recitarono da prima nel 1706, e poi per molti anni, quasi ininterrottamente, sostituendosi ai balli che invero non cessarono mai, anzi furoreggiarono dopo il 1732. Per la loro giocondità e per la facilità dell’esecuzione si diffusero subito ed ebbero fortuna in tutta la penisola tali intermezzi di spirito intimamente settecentesco; e ne durò la moda fino alla metà del secolo, quando furono sopraffatti dall’opera giocosa, ossia da un genere più compiuto di commedia per musica di cui erano stati, come dice il Goldoni, i precursori (Mémoires, P. I., ch. 36. "Commedie abbozzate" li chiama nelle memorie italiane, “suscettibili però di tutti i caratteri più comici e più originali”: vol. I della presente ed., pag. 95. So che il Della Corte, l. c., I, pag. 43, si oppone al Goldoni, ma il Goldoni pensa ai libretti, ha di mira principalmente la poesia, non la musica). Peccato che nessuno finora li abbia studiati e che le domande ch’io mi feci poco fa rimangano senza risposta, tanto più che s’ignorano troppo spesso gli autori dei libretti e della musica. Dal teatro dell’arte derivarono i travestimenti a cui ricorre la più parte dei personaggi, ma quanto al carattere dei personaggi stessi convien forse pensare alla commedia rustica musicale che abbiamo visto in Toscana e a Bologna, alle commedie popolari veneziane della fine del Seicento e più di tutto all’imitazione della commedia e della farsa letteraria francese. Difatti più d’uno dei soggetti ricorda il teatro di Molière (Toldo, L’oeuvre de Molière etc., Torino, 1910, pag. 425 e sgg.).
Conviene qui fissare (ciò che nessuno fece) le differenze caratteristiche fra l’intermezzo, diremo così, italiano e l’opera buffa o commeddeja pe museca napoletana. L’opera buffa è una commedia vera e propria, di carattere intimamente regionale, di materia in parte romanzesca; vive soltanto a Napoli, dove ha un teatro tutto suo, e parla il dialetto di Napoli, e rappresenta la vita popolare napoletana. Gli intermezzi, come dicemmo, sono ingenue farsette, ai sei, di quattro o anche di due sole scene, che ci richiamano alla mente certi dialoghi più o meno rusticali, noti nel Cinquecento col nome di farse, inframessi, mogliazzi ecc. Questi umili componimenti non si recitano da soli, ma servono a nempire le pause fra un atto e l’altro delle opere serie, con musica o senza. Sorgono qua e là, in varie regioni, ma hanno per centro principale Venezia, la patria dei teatri pubblici musicali del Seicento: e qualche volta si servono del dialetto veneziano. Non svolgono una vera azione, benchè abusino dei travestimenti, bensì cercano di rendere il carattere, per quanto caricato, dei personaggi che sono due, o al più tre. Anche per questo si distinguono dal teatro del secolo precedente e risentono, senza volere, l’esempio del teatro francese. Ricordiamo che a Parigi, nel 1715, sul teatro della Foire Saint-Germain appare per la prima volta il titolo d’opéra-comique. Non a caso il Goldoni insiste sulla importanza degli intermezzi:”Les traits comiques” dice nelle memorie francesi”que j’employois dans les Intermèdes, étoient comme de la graine que je semois dans mon champ pour y recueillir un jour des fruits mûrs et agréables” (P. I, fine cap. 35).
Nel catalogo del Wiel, per tali operette non completo, si possono contare sui teatri veneziani tra il 1706 e il 1734 una quarantina d’intermezzi: ma dal 1710 al 1718 soltanto tre. Molti furono replicati più volte a Venezia e fuori,