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LA PELARINA 43
Tascadoro. Oh buona!

Pelarina.   Che? seu muta?
Che vaga? Andemo insieme.
Si no volè vegnir all’ostaria1,
Anderemo al caffè, alla malvasia2.
Tascadoro. (Meglio! Ma da costui
Sbrigarmi io vuò). Pe’ fatti vostri andate;
Io di quelle non son che voi cercate.
Pelarina. (Che diavolo di voce
Per nascondersi ei fa!)
Tascadoro. Guardate che insolenza!
Pelarina. Ah maschera, ve vedo,
A quella sottogola de alabastro,
A quelle ganassette3 delicate
Sè una bella persona;
Ma si bella vu sè, siè mo anca bona.Fonte/commento: ec
Tascadoro. (Oh che imbroglio!) Partite,
Temerario che siete.
Pelarina. (La voce s’è scordata).
Tascadoro. (Che feci?) Ehem ehem, son raffreddata.
Pelarina. (Che gusto!)
Tascadoro.   (Volontier gli scoprirei
Che son uomo; ma poi per la mia vita
Io temo).
Pelarina.   A un cortesan 4 della mia sorte
Sti torti no se fa: so la maniera
De trattar co le donne.
E si me cognoscessi,
D’avenne refudà ve pentiressi.
Tascadoro. (Abito femminil, ti maledico;
Per te son nell’intrico).
Pelarina. Eh andemo via, caretta:

  1. Dicevasi per locanda, albergo.
  2. Bottega dove si beveva la malvasia, vino greco: vedasi vol. II. pag. 587, n. 1.
  3. Vezzeggiativo di guancie.
  4. Per il significato di questa voce, vedi Goldoni stesso, vol. I, pag. 157 (vedi pure vol. II, pag. 105, n. c e altrove).