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corre troppa differenza. Il primo è un vero pasticcio, come abbiamo visto, che non uscì già dalla fantasia del Goldoni, ma il secondo Intermezzo, per quanto tradisca l’improvvisazione e la negligenza, per quanto imbastardito nel linguaggio e nei versi, è uno scherzo comico ingegnoso cbe non si legge qua e là senza riso. Figurarsi poi sul teatro! Badiamo ch’è una semplice farsetta camovalesca, una buffonata per musica e niente più; e potremo tollerare sorridendo anche l’accomodevole Conte Macacco, l’antico tartaglia della commedia dell'arte, di cui trovammo già un saggio nella Birba. C’è del moto e del brio teatrale in questa favola “dei tre contenti", c’è la beata filosofia dell’amore non geloso, c’è il Settecento in somma, c’è il sorriso goldoniano:

Sieu tanto benedetti,
     O cari sti gobbetti!
     Staremo allegramente
     In pase tra de nu.

C’è la gioia del vivere:

Via che la vaga,
     De chi è sti mondi?
     Tutti i xe nostri
     Tutto è per nu.

C’è la follia della gavotta e della furlana che chiude questa risata di carnovale. I tre gobbi e Madama accordano gl’istrumenti: Vezzosa col cembalo, Parpagnacco colla chitarra, Bellavita col violoncello, Macacco col flauto:

Ed io pur, che che che non son merlotto,
     Voglio suo suonar il ciffolotto...
               Viva viva l’allegria,
               Bell’amare in compagnia...

G. O.