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nitori hanno spesso tenerezze particolari per i figli difettosi, e son tante le commedie scadenti del Goldoni che si portano via pagine e pagine delle Memorie!

Il Guerzoni qualifica questo un ”drammaccio“ di genere patetico (Il teatro italiano nel secolo XVIII, Milano, 1876, p. 240) e con altro malinconico peggiorativo, fra le “tragediacce” lo confina A. Sagredo (Di P. Metastasio e di C. G. Commentari due, Venezia, 1834, p. 40). E Giuseppe Sabalich dalmata, esclama: ”Se Goldoni si fosse fermato là (ai quadri di vita veneziana), ma egli volle forzare, e scrivere delle Dalmatine che possono essere giapponesi e delle Spose persione che possono essere anche africane (Chiacchiere veneziane, Fabriano, 1902, p. 263). Quella sciaguratissima Dalmatina — giudica Santi Muratori, preludendo al sonetto del Bezzi, citato più innanzi — che è, credo di non sbagliare, un grossolano pasticcio, la cosa più brutta del Goldoni, tolte alcune scene o parti di scene e gli accenni sentiti e forti, questo sì, alla gloria di San Marco“.

”Non va certo annoverata tra i capolavori del grande commediografo osserva il De Frenzi — È un’opera piuttosto scialba, diluita in brutti martelliani, con l’intreccio melodrammatico ordito sopra un fondo d’ambiente orientale da vecchia stampa sul tipo di quelle varie Ircane e Persiane, con le quali il Goldoni indulgerà di quando in quando al gusto esotico e romanzesco del suo tempo, pur rispecchiandovi un po’ del colore e del sentimento della tradizione levantina di Venezia“ (L’Idea nazionale, 14 ottobre 1920). E P. P. Trompeo, tra i critici recenti quello che di questo dramma diede l’analisi più minuta, scrive dei caratteri della commedia: ”Non ce n’è uno che si possa dire abilmente tracciato. Zandira che è pure il personaggio tra i principali il più vivo non riesce a interessarci che mediocremente: innamorata di Lisauro al primo atto, la vediamo all’ultimo, nel giro di poche ore, sposa felice di Radovich... L’analisi dei sentimenti di Zandira è stata quasi del tutto trascurata dal Goldoni, il quale, insomma, ci mostra la sua eroina sbalestrata dagli avvenimenti d’una fortunosa giornata, ma la storia intima di lei non ce la racconta punto...“. Ma si avverte giustamente: ”Dal grigiastro insieme staccano invece per il loro fresco colorito due gaie figurine di ripieno“, cioè Marmut e Cosimina ”servetta eminente goldoniana. che ha il solo torto di non parlare veneziano“ (La Dalmatina, Le vie del mare e dell’aria, 1919, fasc. 18).

Giova raccogliere altre voci ancora intorno a questa Dalmatina e alle sue compagne? Giuseppe Caprin (”se l’autore non ebbe poi l’animo di rifiutarle dal suo teatro, potremmo farlo noi senza rimorso: C. G., la sua vita, le sue opere, Milano, 1907, p. 293), Marietta Ortiz (“genere di commedie più spettacoloso che verosimile, più confacente all’arte sbalorditoria del Chiari che alla sua semplice e naturale”: Commedie esotiche del G., Riv. teatr. it. Napoli, 1905, p. 12 dell’estr.), O. Marchini Capasso (“l’autore... in queste commedie... si trova per così dire fuori di strada e fa prova infelice”: G. e la comm. dell’arte, Napoli. 1912, p. 147). Cesare Levi (“uno dei peggiori (drammi) del Goldoni ”: Dalmati sulle scene, Il Marzocco, Firenze, 11 maggio 1919), Ida De Cristofaro (“la Peruviana, la Dalmatina ecc... prive di verità e... fredde concessioni”: Tipi e caratteri femminili, Trani, 1919, pp. 97, 98)? Tutte voci, si vede, che suonano decisa condanna.