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Ma se fossero al caso non lo direbber più.
Sono cose da scena il dir mi voglio uccidere;
Stili, spade, veleni, cose che fan da ridere.

L’autore che per bocca di un suo personaggio mette in canzone la propria enfasi! Di questo e d’altri drammi romanzeschi del Goldoni il Carrer, a cui si deve, in ordine di tempo, la prima monografia biografico — critica del commediografo, giudica; “lo confesso, e forse m’inganno, queste sono tra le commedie di Goldoni quelle che veramente mi vengono a noia, per la discordanza dello stile col soggetto, del soggetto coi personaggi, dei personaggi colla nazione, a cui appartengono” (Saggi su la vita e su le opere di C. G. Venezia, 1825, II, p. 108). Tale giudizio, certo concorde al vero, non tolse più tardi al Carrer poeta di ricordare la Dalmatina, in alcune sue terzine, poco note, a prova ch’egli non “da soli circostanti oggetti aveva saputo trarre l’argomento dei suoi drammi:

La materna lasciata alpestre riva
La dalmata fanciulla ardita move,
E le contese de’ rivali avviva.

(Per nozze Tornielli-Gobbati. Capitolo inedito, Venezia. Cecchini. 1862, p. 21; e C. Musatti. Versi di Carrer per Goldoni, nel Marzocco, 21 marzo 1926).

Al giudizio del Carrer sottoscrive il Meneghezzi (Della vita e delle opere di C. G. Milano, 1827, p. 131), ma un altro critico, Ignazio Ciampi. attenna opportunamente il biasimo che deriva all’autore dalla creazione di così ibridi componimenti: “Lascio le Ircane, le Dalmatine, le Peruviane, Incognite. le Belle Selvagge, portate sulla scena piuttosto per accarezzare fantasie romanzesche che per elezione spontanea del cuore e dell’ingegno” (La vita artistica di C. G., Roma, 1860, p. 67). E chi non ricorda le amare parole del Tommaseo: “Le Spose persiane e le Pamele, sforzi d’ingegno, abbandonato dagli uomini, tradito dai tempi” (Studi critici, Venezia, 1843, II, p. 88)? Dove, se appare ingiusto confondere p. e. Pamela nubile, con lavori per ogni riguardo inferiori, è implicita invece la condanna della Dalmatina, che forse per l’onore voluto rendere dal Goldoni con essa alla sua terra, il grande dalmata ha ritegno di nominare.

Nè in tempi più prossimi a noi suonano meno aspre le censure alla commedia. Sì, il Merz, che erroneamente ritiene svolgersi l’azione in Dalmazia, scrive quasi lodando: “La Dalmatina rintrona tutta della vigoria naturale d’una razza selvaggia, avida di libertà. E fu un pensiero felice del poeta di non portarci questa volta in terre ignote lontane, ma in Dalmazia. paese d’interesse allora vivo per ogni veneziano. La repubblica aveva mandato colà truppe al comando del senatore Andrea Querini per difendere la Dalmazia dai Turchi” (C. G. in seiner Stellung zum franzoesischen Lustspiel. Leipzig, 1903, p. 60). Ma per il Galanti è ben meritato l’oblio dei posteri per questa e altre tragicommedie del Goldoni (C. G. e Venezia nel secolo XVIII, Padova, 1882, p.242), e il De Gubernatis si meraviglia ch’egli “spenda maggiori parole intorno alla Dalmatina commedia esotica... che sui Rusteghi” (C. G., Corso di lezioni, Firenze, 1911, p. 316). Nessuna meraviglia. I ge-