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che per farsi amare conoscendo l’avversione dei Dalmati per la sua nazione (Memorie) si spaccia per cittadino di Spalato. In questa figura il Goldoni volle evidentemente rilevare il contrasto fra dalmati e greci delle isole ionie, soggetti tutti e due a Venezia, ma insinceri questi e, al caso, rinnegatori della propria nazione, quanto leali a sè e al proprio governo gli altri. Accorre presto colà il Radovich e libera dall’avidità del governatore con l’oro e dalla tracotanza del corsaro Alì col proprio valore la sposa e gli altri schiavi. Zandira che ha intanto scoperto Lisauro già legato ad un’altra donna, si volge tutta al valoroso capitano, a cui era destinata.

La somiglianza fra i due drammi sta, se mai, nella figura dell’amante, conteso fra due donne — punto del resto onde muove già la Sposa persiana — e in quel tanto di ardimentoso e di guerresco ch’è nel linguaggio e negli atti della protagonista Zandira, che dalla violenza del corsaro Alì si difende con la scure. Ben poca cosa. Il debito che l’autore afferma di avere con la poetessa francese sembra più che altro un complimento alla donna gentile, ch’egli aveva conosciuto nel 1757 a Venezia in casa Farsetti (Recueil des Oeuvres de Mad. Du Bocage, Lyon. 1762, III. p. 159 segg., e Goldoni, Mémoires, II, cap. 34), e il cui salotto frequentò a Parigi (cfr. dedica della Donna di maneggio — Alla celebre e virtuosa, la signora Du-Bocage ecc. e la lettera della Du B., del 24 marzo 1763, all’Algarotti, in Opere del co. A. Venezia, 1794, tomo XVII, p. 127) A buon conto l’accenno alla fonte venne appena nelle Memorie (1787). non nella Premessa alla commedia.

La Dalmatina ebbe assai “felice esito” (L’Autore a chi legge); ma forse più a Venezia che altrove, perchè nella lettera di dedica si legge: “La mia Dalmatina è una di quelle commedie che in Venezia principalmente mi hanno fatto il maggior onore ”. I dalmati, quei “valorosi fedelissimi sudditi della Repubblica di Venezia ”, affollarono quella sera il teatro, non senza un po’ d’apprensione che l’autore si fosse permesso qualche tratto di licenza poetica sul carattere rispettabile della loro nazione (L’a. a chi legge). Restarono invece ben lusingati degli altissimi elogi che il poeta intona alla schietta natura, al valore e alla fedeltà loro a San Marco. E il Goldoni a sua volta si compiacque del loro plauso e più ancora dice nelle Memorie d’aver soddisfatto l’amico Sciugliaga.

Conferma eloquente più d’ogn’altra del buon successo è in una lettera del Vendramin (Mantovani, p. 118). Di fronte al progetto, accarezzato dal Goldoni, di nove commedie, che ciascuna rispondesse al carattere d’una musa, gli scrive: (Mantovani. G. C. e il Teatro San Luca, p. 117) “Circa la sua idea, da me sarà custodita con il maggior de’ secreti; ma la prego a riflettere, che le commedie in presente piacciono quando sono teatrali, e non di parole, o di solo carattere. Nulla più le dico, perchè ella ha veduto, che la sola Dalmatina ha avuto l’assenso del popolo; sicchè la conseguenza è chiara..... Già la Dalmatina era piaciuta, com’erano piaciute le Persiane, la Peruviana, la Bella Selvaggia e si poteva continuare per quella strada. Da buon impresario S. E. Vendramin badava più alla cassetta ricolma che all’arte pura.

Questa volta dunque, pure portando la scena a Tetuan nel lontanissimo Marocco, il Goldoni volle restare un po’ vicino a casa sua e immagina centro