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68 ATTO QUARTO
Lisauro. Muori. (avventandosi contro d’Alì

Zandira.   Non infierire contro un uom disarmato.
(trattiene Lisauro, e leva da terra la sciabla d’Alì
Alzati, e vanne altrove a piangere il tuo fato.
Se il Ciel ti serba in vita, pensa che fu mio dono.1
Per amor m’insultasti, e all’amor tuo perdono.
Soffri il destino in pace, ed al partir t’affretta.
Alì. Ah se risana il colpo, vo’ meditar vendetta. (parte

SCENA V.

Lisauro e Zandira.

Lisauro. Dal tuo valor, Zandira, ebbi la vita in dono.

Zandira. Di’ che per tua mercede libera e salva io sono.
Lungi dal rio timore dovrei trovarmi adesso,
Ma da un nemico il fato guidami all’altro appresso.
Lisauro. Qual nemico paventi?
Zandira.   Te più d’ogni altro io temo.
Ah nel pensarvi ancora inorridisco e fremo.
Perfido, a questo segno l’amor ti rese cieco?
Gl’insulti, le violenze tentasti adoprar meco?
Tu minacciarmi ardisti con pensamento orrendo
Le sacrileghe mani al braccio mio stendendo?
Meco parlasti in guisa di forsennato e stolto,
Ed hai coraggio ancora di rimirarmi in volto?
Lisauro. Bella, perdon ti chiedo. Scusa l’amor protervo;
Cuor che d’amor delira, delle sue leggi è servo.
Le sconsigliate offese vendica, se tu vuoi,
Ecco il mio ferro istesso, eccomi a’ piedi tuoi.
(gli presenta la spada inginocchiandosi
Zandira. Ah ti son debitrice dell’aure ch’io respiro.
Alzati.
Lisauro.   No, non mi alzo, se il tuo perdon non miro.

  1. Ed. Zatta: il mio dono.