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66 | ATTO QUARTO |
Contro quell’infelice a palpitar costretta.
Ma il vincitore Illirico segue la nobil preda;
Raggiungerà il nemico, e converrà ch’ei ceda.
Scender nel palischermo fu provvido consiglio,
Che non potrebbe al lido giungere col naviglio;
Ed un momento solo ch’egli perdesse invano,
Sparir dagli occhi suoi potria quell’inumano.
Ma se Zandira è salva, se il Dalmatin la scioglie,
Il Dalmatino istesso all’amor mio la toglie.
Ah che in qualunque evento sperar a me non lice:
Viva o morta Zandira, io sono un infelice.
Odesi calpestio. Chi sarà mai? s’attenda.
Questo rustico tetto mi salvi e mi difenda:
Veggo i strumenti al suolo pe’ rustici lavori;
Non tarderan dal bosco a giugnere i pastori.
(entra nella capanna
SCENA HI.
Alì e Zandira.
Zandira. Ohimè, non ho più lena.
Sento mancar lo spirito; reggermi io posso appena.
Alì. Il nemico ho alle spalle. De’ miei guerrier la spada
Gli impediran per poco di accelerar la strada.
Pria che rapir ti vegga, pria che trionfi appieno,
O sieguimi veloce, o di mia man ti sveno.
Zandira. Svenami, se lo brami, barbaro cuor di sasso,
Ma non sperar ch’io muova da questo suolo un passo.
Alì. Mira in qual precipizio son io per te caduto:
Armi, genti, naviglio, l’onor, tutto ho perduto.
L’unico mio conforto, l’unica mia speranza,
Di compensar miei danni nel tuo bel sen mi avanza:
E se il nemico audace privami ancor di questa,