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LA DALMATINA 63
E se a un serraglio è scorta dal tuo poter sovrano,

Accelerar la morte saprà colla sua mano.
Deh se pietade alligna, signor, nel tuo bel core,
Ti destino a pietade la figlia e il genitore,
Argenide. Abbi pietà di lui, che sua virtude il merta:
Lasciami, qual ti piace, della mia sorte incerta.
Son dalle mie sventure sì fieramente oppressa,
Che la pietade abborro, ch’odio per fin me stessa.
Ibraim. Frena il duol furibondo. Cangia le voci insane:
Sei nell’Affrica, è vero, ma non fra tigri ircane.
Lisauro è in lihertade; ma ancor fra noi risiede,
Dove punir si suole chi manca altrui di fede.
Arbitro del riscatto non ho il potere in mano,
Ma se pietà mi chiedi, non me la chiedi invano.
Farò che il suo nemico pieghi quell’alma1 altera.
Non disperarti, o donna. Vecchio, confida e spera.
(parte
Canadir. Non te lo dissi, o figlia, veglia de’ Numi il zelo. (parte
Argenide. Pieghisi al Ciel la fronte, e ci soccorra il Cielo, (parte


Fine dell’Atto Terzo.



  1. Zatta: quest’alma.