Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
62 | ATTO TERZO |
SCENA X.
Argenide e Canadir rimangono per qualche tempo senza parlare.
Canadir. Ma Cosimina istessa
Non ti dicea che aveva buone speranze anch’essa?
Argenide. Misera! da ogni parte veggio ch’io son tradita.
O m’ingannaste entrambi, o m’ha il crudel schernita.
Ogni speranza è vana che il traditor sen torni,
Fra le catene e i pianti terminerò i miei giorni.
Niuno di lui mi parli; odio chi mi consiglia.
Canadir. Della bontà del Cielo non disperare, o figlia.
SCENA XI.
Ibraim e detti.
Te al signor di Marocco spedire ho destinato.
(ad Argenide
Canadir. Ah signor...
Argenide. Non opporti. Eh lascia pur ch’io vada,
Già saprò colla morte abbreviar la strada, (a Canadir
Ibraim. Chi è costei che di morte parla sì franca in volto?
Canadir. Se favellar concedi...
Ibraim. Parlami pur, t’ascolto.
Canadir. Signor, questa è mia figlia, sposa d’un uomo ingrato,
E per seguir l’infido, ci ha qui condotti il fato.
Il traditor Lisauro che a te dev’esser noto,
Scordasi per Zandira della sua fede il voto.
Ora sugli occhi miei finse il suo cor pentito,
E a rintracciar Zandira corre il mendace al lito.
Mira quell’infelice scopo dell’empia sorte:
Altro non ha conforto che nell’idea di morte.