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56 ATTO TERZO
Cosimina.   È ver, che questo fu,

Credo per accidente, una o due volte al più;
Ma se vi dico il nome, e se vi dico il sito.
Resterete di tutto prestissimo chiarito.
Lisauro. Parmi, se non m’inganno... siete voi?...
Cosimina.   Cosimina.
Lisauro. D’Argenide la serva?
Cosimina.   Povera padroncina!
Lisauro. (Ah qual rossor mi desta nel rimirarla in viso!
Sento assalirmi il core da un tremito improvviso).
Cosimina. Come! vi ammutolite? Nemmen da voi si dice,
Cosa fa la mia sposa?
Lisauro.   Che fa quell’infelice?
Cosimina. Veramente il suo caso merita compassione.
Ma delle sue disgrazie foste voi la cagione.
Lisauro. Di lei cos’è avvenuto? Voi qui fra lacci e pene?
Stelle! Argenide forse è ancor fra le catene?
Cosimina. (Parmi che gli dispiaccia). Sarebbe il mal minore
Che ella fosse fra lacci unita al genitore.
Ella, il vecchio ed io pure ci abbandonammo al mare
Non per altra cagione che per voi rintracciare.
Una fiera burrasca1 (9 la nave ha fracassato,
Sopraggiunsero i Turchi e ci hanno incatenato.
Morta pareva Argenide distesa in sull’arena,
Quei barbari corsari non la guardaro appena.
Tosto il lor palischermo staccato han dalla riva,
E lasciar la meschina non so se morta o viva.
Lisauro. (Ah! il mio destin presente a delirar mi porta;
Non so ben s’io desideri viva trovarla, o morta).
Cosimina. (Quel tacer non capisco). Lisauro, a quel ch’io vedo,
Della povera donna poco vi cale, io credo.
Lisauro. No, non son disumano. Il mio dover rammento;
So che mi resi ingrato, e dell’error mi pento.
Una beltà novella pose a’ miei lumi il velo,

  1. Ed. Pitteri: borrasca.