Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXV.djvu/57


LA DALMATINA 53
Ma non conosco alcuno, nè so di chi fidarmi.

Aspettate, ch’io vedo venire a questa volta
Uno di questi Mori. Ehi galantuomo, ascolta.

SCENA II.

Mustafà e dette.

Mustafà. Che vuoi?

Cosimina.   Fammi un piacere: conosci un giovin Greco,
Che Lisauro si chiama?
Mustafà.   Or or parlato ha meco.
Cosimina. Possibile sarebbe di favellargli un poco?
Mustafà. Posso, quand’ei lo vuole, condurlo in questo loco.
Or che non è in catene, ora ch’è riscattato,
Può del paese nostro andar per ogni lato.
È ver, che dalle donne entrar non gli è concesso,
Ma io sarò presente, e gli darò il permesso.
Cosimina. Bravo, bravo davvero, va dunque a rintracciarlo.
Mustafà. Cosa vuoi tu donarmi, se mi dispongo a farlo?
Cosimina. Ti darò qualche cosa.
Mustafà.   A femmine non credo;
Non vuo’ muovere un passo, se la mercè non vedo.
Argenide. Prenditi quest’anello.
Cosimina.   Piano, signora mia,
Un anel per sì poco? Voi lo gettate via.
Mustafà. Tu, insolente, mi togli l’anel che mi vuol dare?
Non vederai Lisauro, se credo di crepare.
Argenide. Prendilo, io te lo dono. Guidami tosto il Greco:
Tutto di dar son pronta quel che restato è meco;
Anche il mio sangue istesso, se il sangue mio si chiede.
Mustafà. Generoso il suo core più del tuo cor si vede.
(a Cosimina
Tutto si può sperare, quando si fa così;
Vado a cercar Lisauro, e lo conduco qui. (parte