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506 ATTO QUINTO
Sia pur tua la Mingrelia. E sol ti chiedo

Per pegno eterno d’amistà, di pace,
La figlia tua, la cara figlia, in sposa.
Vachtangel. (Che risponde Bachrat?)
Bacherat.   Dadian, conosci
La tua sorte da lei. Sul cor paterno
Tanto poter gli accenti suoi, che alfine
M’arresi in tuo favor. Regna, e rammenta
Che superbia nei Re deturpa il grado,
E la giustizia d’ogni regno è base.
Della Mingrelia possessor mi rendo
Non per avidità, che pago io fui
Sempre del stato mio, ma perchè meno
Altier ti renda un più fastoso impero:
Altro non diermi successor le stelle
Fuor che la figlia mia; renditi degno
Del suo, dell’amor mio; nè sarà ingrato
Il mio core con te, se tu sia fido.
Vachtangel. (Oh perdute speranze! Oh sorte ingrata!)
Tamar. Vachtangel, che dir vuol che smani e fremi?
Vachtangel. Perchè mai lusingarmi, e perchè dirmi
Che mi amavi, crudel?
Tamar.   Diss’io d’amarti?
Vachtangel. Negalo, se lo puoi! Non mi dicesti:
Come un tempo t’amai, t’amo al presente?
Tamar. Con più sincerità poteva io dirti:
Non t’amai e non t’amo? E qual amore
Merta colui che conduttor si fece
Di me, guidata in schiavitude amara?
Scuso il mio genitor che di sua pace
Prezzo mi volle, ed io medesma il chiesi,
Malcontenta colà fra monti e selve
Di meschino destin. Ma un vero amante
A costo di morir non dovea farsi
Delle perdite sue ministro e scorta.