Troppo è lungi da noi.
Tamar. Signor, perdona.
Il periglio è vicin più che non credi.
Pensi tu che non abbia invidia e sdegno
La tua sorte a destar? Sai pur che in guerra
Visser tant’anni i tre german feroci,
E vinti furo i due minor dal primo?
Spenti non son questi reali germi
Degli antichi signor del vasto impero.
Vivono entrambi, e in loro vive il caldo
Desio di regno; e se divisi un tempo
Furo gli amici loro, or tutti uniti
Li vedrai contro te. Nemici sempre
Ti saranno, signor; l’odio nel seno
Nutriranno al tuo nome e a tua grandezza.
Vuoi fidarti di loro; o vuoi col ferro
Tenerli in freno, e spopolar dei grandi
Le soggette provincie? Il pensier primo
Debole ti faria, l’altro ti espone
Alla fin dei tiranni. In ogni guisa
Veggo il periglio tuo, lo temo, e in mezzo
Ai trionfi e alle glorie io piango e tremo.
Bacherat. Che vorresti perciò? Ch’io rinunziassi
Al favor della sorte, e al mio nemico
Ridonassi la preda, e che vilmente
Alle selve natie tornassi umile?
Tamar. No, padre mio, se d’ascoltar ti degni
Di donna il ragionar, di donna alfine
Ch’è sangue tuo, che più d’ogni altro è a parte
Del tuo ben, di tua gloria; io mi lusingo
Che inspirata dal Ciel vaglia a proporti
Il consiglio miglior.
Bacherat. Fuor che viltade,
Tutto posso ascoltar.
Tamar. Di’, che ti spinse