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496 ATTO QUINTO
Tamar. Piacciati di seder.

Bacherat.   Sediam, se il brami. (siedono
Tamar. Finalmente gli Dei giustizia han reso
Al tuo valore, e sei signor tu solo,
Tu solo vincitor. Il Re nemico
Geme fra’ lacci tuoi; puoi col suo sangue
Lavar dell’onor tuo le macchie e i torti.
Glorioso sei. Puoi la corona al crine
Cingerti quando vuoi; fortuna amica
Ti seconda, t’esalta, e teco è unita.
Pur fra tante vittorie e glorie tante
Non ho quieto il cor, nè lusingarmi
Posso che duri lungamente il dono
Dell’amico destin.
Bacherat.   Deh! non volere
Funestar vanamente i miei trionfi.
Scaccia dal sen la vergognosa, indegna,
Importuna viltà, con cui far tenti
Alla fortuna un manifesto oltraggio.
Che più s’ha da bramar? Che più sperare
Si potrebbe da noi? A qual maggiore
Felicità si può salir qui in terra?
Tamar. Ah! che appunto, signor, tant’alto è giunta
La tua felicità, che non potendo
Salir più oltre, la caduta io temo.
Sai che fortuna la volubil ruota
Fissar non può. Fin che fia lento il moto,
Innalzandosi l’uom di grado in grado,
Termina il corso al terminar dei giorni.
Ma volando repente al fin prefisso
Dalla volubil dea, sovente l’uomo
Rivolge il piè dove s’ergea col capo.
Bacherat. Tetre immagini invano oppor t’ingegni
Al presente mio fato. È ver, fortuna
Stabil non è; ma il variar che temi,