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LA BELLA GIORGIANA 447
Dadian.   No: di tal sfregio

Macchiato i’ voglio Bacherat.
Abchar.   Signore,
Temi gli armati suoi1.
Dadian.   Timor non reca
L’errante stuolo a mie falangi armate.
Abchar. Chi gli eserciti tuoi condurrà al campo?
Dadian. Tu, Visir.
Abchar.   No, mio Re, depongo il grado,
S’anche un lieve favor sperar non posso.
Dadian. Altri non mancheran di te men vili.
Abchar. Guardati che gli armati al mio comando
Sono avvezzi a ubbidir.
Dadian.   Minacci, indegno?
Abchar. Non minaccio, signor, ma soffri almeno
Rammentar che da me conosci il trono;
Che in poter mio fu lungamente il regno,
E ch’io solo potea dalle fraterne
Ostilità trar per me stesso il frutto.
Ancor non sei ben stabilito in soglio,
Ancor fremon gli oppressi; e se fian questi
Uniti a quei ch’or ti minaccian guerra,
Vedi quanti nemici avrai d’intorno.
Pugnai per te, ma nel pugnar la giusta,
L’onesta causa sostenere intesi.
Or perdona, signor; veggoti accinto
Ad impresa inumana. Il cuor non soffre
D’onorato guerriero armar il braccio
Per far insulti all’innocenza, e l’onte
Meritare e i dispregi ancor vincendo.
Tu sei signor della mia vita, imponi
Che dal busto mi sia troncato il capo,
Non ch’io contro ragion denudi il brando.

  1. Nel testo: gl’armati suoi.