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446 ATTO SECONDO
Per omaggio sincero, e tu l’accogli

Con dispregio sì rio, che fora indegno
Del più vil de’ vassalli? A schiavo abbietto
Doni la prole sua? concedi al rozzo
Disgraziato Macur la prole istessa
D’un picciol sì, ma rispettabil prence?
Dadian. Che favelli di prence? è mio vassallo
Bacherat, come gli altri, Io lo soffersi
Alla testa finor del numeroso
Popol di Guriel, perchè suo peso
Fosse d’invigilar, ch’io non restassi
Sprovveduto di schiave. O trascurato
Abbia il cenno per arte o debil cura,
Meritato ha il mio sdegno, e oppresso il voglio.
E lo sprezzo con cui trattai la figlia,
Il segno sia dell’odio mio col padre.
Abchar. Questa figlia, signor, sangue innocente
Di sventurato genitor, non merta
Onta soffrir sì vergognosa e indegna.
Se di lei non ti cal, rendila al padre;
E se al padre non vuoi, donala almeno
A chi più di Macur merta un tal dono.
Lasciala in mio poter. Se la mia fede,
Se il mio lungo servir può lusingarsi
Di tua regia mercè, Tamar ti chiedo.
Dadian. Altra avesti da me maggior mercede.
Ti unisco al sangue mio, la suora istessa
Ti destino in consorte: e a sì gran dono
Osi antepor d’un mio nemico il sangue?
Abchar. Non chiedo a te di Bacherat la figlia
Per isposa, signor, ma sol per schiava.
Dadian. L’ebbe Macur.
Abchar.   Ti calerà d’uom vile
Più che di un tuo Visir? D’altra mercede
Fia contento Macur.