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LA BELLA GIORGIANA 439
Ma è cosa mia. Mi fu dal Re donata,

Nè alcun può trar dalle mie man tal dono.
Tamar. (S’i’ non sperassi migliorar destino,
Ferir vorrei colle mie man quel vile).
Abchar. (Noto ad essa è l’oltraggio, e ’l soffre in pace?)
Macur. Vieni alla tenda mia. (a Tamar
Tamar.   Sì, lascia in prima
Che al ministro del Re tributi omaggio;
Poi sarò qual mi vuoi. (L’arte giovarmi
Potrà più dell’orgoglio).
Macur.   (Non vorrei
Che piacesse a lui pur).
Tamar.   Signor, perdona;
Il nome di Visir che darti ho inteso,
Mi assicura che sei del Re ministro.
E il dolce e grave venerando aspetto
Segno è che nutri un nobil core in seno.
Tu saprai chi son io, saprai ch’io vanto
Sangue d’un genitor sovrano anch’esso,
Benché d’incolte povere provincie.
Ed a fronte di un Re men grande e forte,
Pur siam liberi ancora, e ancor godiamo
Quella sovranità che il Ciel ne diede:
E se vengh’io dal genitore offerta
Per ostaggio di pace ed amicizia,
Non perdo il fregio di natura, e merto
Dalle schiave vulgari esser distinta.
Così m’accoglie il tuo signor! Mi dona
Al più vil de’ suoi servi! È ver, non sono
Di beltà rara e di bei fregi adorna,
Ma spregevol non parmi esser cotanto
Per esser data alla vil plebe in preda.
Deh! il tuo tenero cor salvi, protegga
L’innocenza, l’onor. Placa gli sdegni
D’un sovrano irritato; e s’io non sono