Abchar. Ma tu, signor, dal Caucaso gelato
Sino alle rive del mar Nero imperi,
Ed imponi le leggi, ed hai tributi.
Non ha di prence Bacherat che il nome,
E se questo gli togli e la provincia
Rendi priva d’un capo, i sediziosi
Di Guriel solleveransi a gara,
E pena avrai di soggiogarli un giorno.
Dadian. Compiasi pur la mia vendetta, e il ferro
Che troncar dee del contumace il capo,
Faccia tremar chi a sedizioni aspira.
Abchar. Ah! signor, sì gran colpo!
Dadian. Olà, t’imposi
Di cessare a suo pro discolpe o preci.
Grave è sempre il delitto in chiunque ardisce
D’opporsi al mio voler. Di cento schiave
Ch’io gli chiesi in tributo, appena offerte
Me n’ha tre volte o quattro volte dieci,
E le men belle e le più vili ha unite.
Il Sofì della Persia a me venduta
Ha la pace contesa al solo prezzo
Delle belle Giorgiane, e sol per esse
Poss’io goder tranquillamente il regno.
Sa Bacherat in qual impegno io sono,
Sa che può sol di belle schiave il pregio
Farmi caro al nemico, e per dispetto
Le più schifose e più deformi ha scelte?
Paghi sua vita il malizioso inganno;
E in avvenir potrò mandar io stesso
Nella vasta provincia a trar dal seno
D’accorte madri di bellezze il fiore.
Chechaiz. Signor, su picciol disarmato legno
Giunse testè di Bacherat un messo,
Che desia favellarti.
Dadian. Odasi; in guisa