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414 ATTO QUINTO
Il rege un mancatore, un barbaro, un tiranno. (a Cleonte

Cleonte. M’abbandonò ragione quando d’amor fu schiava.
Tu che le sai, Nicotri, tu le mie colpe aggrava.
Nicotri. Non niego il tuo delitto, se tu medesmo il dici.
Zoroastro. Empio, quai ti sedussero lusinghe adulatrici? (a Cleonte
Sidone. Ah! signor, quel che è stato, dirò senza riguardo:
Ci ha tutti corbellati un trigono bugiardo.
Si credea che dovesse cader sopra di voi,
E il trigono fatale cadeo sopra di noi.
Si ha da morir? pazienza. Si soffra ogni disastro;
Chi sa che dopo morte io non diventi un astro?
Priegovi d’una grazia, re generoso, umano:
Ditemi qual pianeta vi discoprio l’arcano.
Zoroastro. Sì, vuo’ appagar Sidone, vuo’ illuminare il mondo:
La provvida mia stella non taccio e non ascondo.
Olà, s’adempia il cenno, (ad una Guardia) Arrossirete, indegni,
Nel rimirar quell’astro che mi svelò i disegni.
Sidone. Qualche cometa al certo scese dal cielo in terra.
Le comete predicono o morte o fame o guerra.

SCENA ULTIMA.

Corina e detti.

Zoroastro. Ecco la stella amica che per divin portento,

Chiusa in comodo sito, raccolse il tradimento.
Indi da giusto zelo e da pietà guidata,
A me senza dimora la macchina ha svelata.
Vieni, o saggia Corina; apri il tuo cuore e chiedi:
Limite non avranno le grazie e le mercedi.
Di te, per mia salvezza, so che si valse il fato,
Ma all’opera tua stessa esser non deggio ingrato.
Corina. Signore, una sol grazia vi chiede il labbro mio.
Della morte di tanti so che cagion son io.
È ver che un re salvando, ho fatto un’opra degna;
Ma aver pietà di tutti l’umanità m’insegna.