Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXV.djvu/406

402 ATTO QUARTO
S’ei non avesse il core sì generoso e umano.

Sudditi malcontenti rimproverar si denno.
A favorir malvagi osta l’onore e il senno.
Un rege non insegna, non soffre i tradimenti.
È ver ch’ei non aveva un dì tai sentimenti;
È ver che in Babilonia non detestò il disegno
D’aggiugnere all’Assiria di Battriana il regno;
Ed ordinò egli stesso armi ed armati, e accesa
Mostrò la sua gran mente di superar l’impresa;
Ma rimirato appena di Zoroastro il volto,
Da subita pietade fu sopraffatto e colto.
Direbbero i maligni, diria chi pensa male,
Che per amor delira, che gelosia l’assale,
Che diffidando a torto del mio sincero affetto,
Le prove di mia fede sagrifica al sospetto.
Ma io che lo conosco, di lui penso altrimenti,
Posso giustificarlo, in faccia delle genti,
Ch’ei gelosia non prova, e che partir s’impegna,
Perchè un re i tradimenti non soffre e non insegna.
Nino. Ah! mi deridi, ingrata? Conosci il core afflitto,
E soffri la mia pena con animo sì invitto?
No, tollerar non posso il cruccioso affanno
D’un rival che coltivi, sia per effetto o inganno.
Anzi che Zoroastro vinto da noi si veda,
Vincere non potrebbe, e tu restar sua preda?
Deh! l’amor mio perdona...
Semiramide.   Or son contenta appieno.
La cagion che ti move, mi confessasti almeno.
Rea non sarò di macchie odiose ad un regnante;
L’eroe non le condanna, ma il sospettoso amante.
Finger sai, se bisogna. Teco me ne consolo.
Non dirai che il mio core nel simular sia solo.
Ma se con altri io finsi, fui teco ognor sincera,
E tu meco adoprasti un’arte menzognera.
Se di me tu diffidi, fede al tuo cor non presto.