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ZOROASTRO 395
Libero, com’io penso, di favellar intendo.

Un rege effemminato per questo io non difendo.
Credo che al nostro regno sovrastino i disastri,
Ma non credio che il danno deggia piombar dagli astri.
Il torbido Saturno di Zoroastro è il core,
Che il suo dover sagrifica ad un novello amore.
Venere minacciosa sta di Nicotri in petto,
Avida di vendetta per un geloso affetto.
E il Marte furibondo più prossimo, più vero,
E del giovane Nino l’avidità d’impero.
Gli astri non son nemici. Il ciel non ci fa guerra.
I trigoni cercate nei vizi della terra.
E se lo stato nostro bisogno ha di riparo,
Cessino i studi vani, e adoprisi l’acciaro.
Sidone. Lisimaco prudente, lodo i consigli vostri.
Gli astri, per dir il vero, non son nemici nostri.
All’armi, all’armi, amici. Facciam qualche bravura.
(Oh quanto pagherei a non aver paura!) (da sè
Cleonte. Di credere alle stelle in libertà restate.
Bastami che del regno prossimo il mal veggiate;
E che dovunque venga l’orribile minaccia,
Meco il comun riparo risolvere vi piaccia. (a Lisimaco
Sidone. Dal cielo o dalla terra vengaci il rio periglio,
Io vi ripeto: all’armi. Questo è il miglior consiglio.
Cleonte. Teocrate non parla?
Teocrate.   Ah! nel fatale impegno
Veggio per ogni parte le perdite del regno.
Non oso qual Lisimaco sorde chiamar le stelle:
So che talora i mali pon provenir da quelle;
Ma giustamente accordo che le passioni insane
Son l’origine ancora delle vicende umane.
Colpa sia del re nostro, sia d’influenza effetto,
Questo misero regno veggo a perir costretto;
E noi dobbiam per legge di stato e di natura,
Opporre util rimedio all’ultima sciagura.