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390 ATTO QUARTO
Sidone. Corina mia, credetemi, son uom che pesca al fondo.

Pensate voi che appieno scoprir non sappia il core
D’una che coi disprezzi vuol mascherar l’amore?
Sì, lo so che mi amate; lo so che siete accesa
Della virtù sublime che ho dai pianeti appresa;
Ardon per me, qual voi, cento donzelle e cento,
Ma sogliono il lor fuoco scoprire in un momento.
Odio le debolezze del femminile ingegno,
Mi piace un po’ d’amore, unito a un po’ di sdegno;
Onde i dispregi vostri che altrui parriano amari,
Ora i teneri affetti mi rendono più cari.
Corina. (Sì, sì, giubila e godi). Ma come mai vi è dato
Di penetrar nel core, con gelosia celato?
Sidone. Bella domanda in vero! Un indovin da poco
Sarei, s’io non scoprissi d’una fanciulla il foco.
Ai segni della fronte, al brio delle pupille,
Conosco le inquiete intime tue faville.
Veggo in quel roseo labbro, veggo in quell’occhio moro
Di bella verecondia pregiabile tesoro.
Ecco un segno di Venere vicino al manco ciglio,
Ecco un neo che ha formato di Venere il bel figlio.
E a questi vaghi segni dalla natura esposti
Altri ve ne saranno consimili e nascosti.
Corina mia, so tutto, so quel che voi pensate:
Al buio e chiusa in camera, so quel che dite e fate.
E so che qualche volta in certe ore fatali
Vi dan qualche tormento gli effetti matricali.
Corina. (Oh stolido indovino!) Via, col vostro talento,
Ditemi quel che penso in questo tal momento.
Sidone. L’impegno è un po’ difficile, ma se ci penserò,
Forse darò nel segno, e l’indovinerò.
Veggo ridente il labbro, veggo rossiccio il volto,
Vergognosetto il ciglio. In fede mia ci ho colto.
Ora in questo momento pensate fra di voi
Che stabilir potriasi qualcosa in fra di noi.