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352 ATTO PRIMO
Provai con me medesmo il tuo talento egregio.

Innamorar ti vanti chiunque in te fisa i lumi,
Pende dal tuo bel ciglio il vincitor de’ Numi;
Ed io nel patrio regno a stabilirmi accinto,
Persi il natio coraggio da’ tuoi begli occhi avvinto.
Ora a novella impresa nuovo desio ti sprona;
Deh! se il mio dir ti offende, idolo mio, perdona;
Di soggiogar ti cale di Zoroastro il core,
L’armi con cui ti adopri, l’armi saran d’amore;
E nell’ardita impresa e nel fatal cimento
Perdere il mio riposo e l’amor tuo pavento:
Che spesso accorta donna, a lusingare intesa,
Videsi a suo dispetto incatenata e resa.
Semiramide. Scaccia un timor sì basso che la mia fiamma offende;
Semiramide è tale, che i suoi doveri intende.
Rammento i doni tuoi, donna non sono ingrata:
Amo di Nino il volto, gioisco essere amata.
E quel desio di regno che nel mio seno io provo,
In te, dolce mia speme, da satollare io trovo.
Tu mi prometti unito alla tua destra il trono;
Degna di gloria tanta, no, fino ad or non sono;
Ma se tu godi in pace per me la regal sede,
Allor la tua corona per me sarà mercede.
E i popoli che forse sdegnan Semira in soglio,
Diran che mi fe’ strada giustizia e non orgoglio.
Nino. Quanto d’Assiria il regno, quanto sariami caro
Se a me tu l’acquistassi coll’elmo e coll’acciaro.
Ma l’armi che tu adopri, l’armi fra i vezzi ascose,
Son troppo alla mia fiamma funeste e perigliose.
No, tollerar non posso...
Semiramide.   Deh! scaccia il rio sospetto.
Sai ch’è tuo questo core, sai che a te serbo affetto.
Se Zoroastro un giorno per me sospira e langue,
Recoti una vittoria, e ti risparmio il sangue.
Sai che del tuo nemico, sia grande o sia impostore,