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346 ATTO PRIMO
So che aspirò dell’Asia all’assoluto impero.

E mal soffria vedere in Battriana alzato
Trono che in guerra e in pace l’onor gli ha contrastato.
Ora di lui non resta che un figlio amico1 imbelle,
E sul destin che il domina già consultai le stelle.
Vidi che il garzon folle, ch’ebbe di Nino il nome,
Amerà più del trono begli occhi e belle chiome.
E più che a re conviene, lascivo, effemminato,
Scherno sarà dei popoli e dai vassalli odiato.
Eccoci aperto il campo di secondar gli auspici
Degli astri a me finora e a questo regno amici.
Dee profittar del tempo chi aspira a grandi imprese.
L’Assiria del fanciullo nemica omai si rese:
Ella ci apre le porte, ella colà c’invita.
Non è, non è l’impresa soverchiamente ardita.
Lo bramano gli Assiri, siam di valore armati,
Abbiam le stelle amiche, ci son propizi i fati.
Ogni ragion promette a noi l’eccelso dono
Di dominar dell’Asia il vastissimo trono.
Sidone. Ah! serbino le stelle per te sì bell’impero!
Ma quando tu lo dici, esser non può che vero.
Lisimaco. Creonte ecco ritorna.
Teocrate.2   Sembra ridente in viso.

SCENA 111.

Creonte e detti.

Zoroastro. Vieni; eh ben, che ci rechi?

Cleonte.   Un fortunato avviso.
L’invitta Semiramide, vedova di Mennone,
Amor di Babilonia, onor di sua nazione,
Le tue virtudi, o sire, fin nell’Assiria intese,
Di veder Zoroastro d’alto desio si accese.

  1. Così nel testo. Forse è da leggersi: unico.
  2. Questo nome si legge nell’ed. di Bologna, manca nell’ed. Zatta.