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330 ATTO QUINTO
Quella pace che brama, abbia Selene

Quello stato che merta. A te destino
Di Turno il regno, e la donzella in sposa.
Lavinia. Or sì che lieta sposo mio ti chiamo,
E t’abbraccio contenta, e ti prometto
Perpetuo amor, sincerità perenne.
Ascanio. Pietoso genitor, grazie ti rendo.
Selene. Scusa, Enea, del mio cuore amori e sdegni.
Te mio benefattor, padre e signore
Sempre mai chiamerò.
Perennio.   (Pianger m’è forza
Per estremo piacer). (da si
Acate.   Signor, mai sempre
Pietoso fosti, e ne raddoppi il vanto.

SCENA IV.

Claudio e detti.

Claudio. Enea, qui presso è il re Latin. Lavinia

Vuol che ad esso si renda. Arde di sdegno
Contro te, contro lei, nè vuol che resti
Fra i Troiani in ostaggio una sua figlia.
Enea. Di’ che venga a veder la degna figlia,
Fatta sposa d’Enea.
Lavinia.   Supplica il padre
Che a parte venga del piacer ch’io provo.
Claudio. (Come l’instabil Dea cangia d’aspetto!) (da sè, e parte
Enea. Fumi l’ara d’incensi, e al sagrifizio
Sian le vittime offerte. Unite in rogo
Sian le spoglie serbate ai sacri Numi,
E tra fiamme giulive ardano, e Giove
Tuoni a sinistra, e i nostri doni accetti.
(si eseguisce da Sacerdoti quanto Enea ha ordinato