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326 ATTO QUINTO
Se altri popoli arditi alzan la fronte,

Meco pugnano i fati, e non li temo.
La domestica guerra io sol pavento,
E tu ovunque la porti ove t’annidi.
Se t’offendo, perdona, e da ciò ammira
Quanto diverso è dal tuo cuore il mio.
Per piacermi tu fingi, ed io ti spiaccio
Perchè finger non so. Mi valse un giorno
A scoprirti per sempre. In un sol giorno
Tant’arte usasti e macchinasti in guisa,
Che scarsissima fede in te ravviso,
E chi fè non apprezza, amor non merta.
Se non legaci amor, qual altro nodo
Dee soffrirsi fra noi? Vile interesse
L’alme illustri non lega. Io non intendo
Che il tuo regno mi doni, e non aspiro
A rapirlo a tuo padre. Ampio terreno
Lungo il Tebro si estende; Ardea le porte
Mi aprirà al nuovo sole, e mia conquista
Fia de’ Rutoli il regno. In pace viva
Il tuo buon genitor. Vivi tu stessa
Fin che vuole il destin, ma dal tuo seno
Prole non nasca a contrastarmi il Lazio.
A me più non pensar; ma non per questo
Di novelli imenei desìo m’accende.
Odio il perfido amor. Tu avesti il vanto
Di farmi odioso di Cupido il nome.
Amo la gloria. Nel mio figlio Ascanio
Ha un erede il mio sangue. I miei Troiani
Tutti son figli miei. Riposo e pace
Deggio a lor, deggio a me. Lavinia, udisti:
Se più sposa non sei, te stessa incolpa.
Lavinia. Molto dicesti, e s’io soffersi e tacqui,
Tacer ti prego e sofferir per poco.
Rea son io nel tuo cor; rea d’un delitto