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ENEA NEL LAZIO 325
Vittime e spoglie sien recate all’ara,

E i sacerdoti ad offerir sian pronti. (si appressa l’ara
Perennio. Non ti guarda il garzon. (piano a Selene
Selene.   Rispetta il padre.
(piano a Perennio
Ascanio. (Ahimè, se il genitor Lavinia insulta,
Nulla spero da lei; Selene io perdo). (da sè, agitato
Enea. Sian di Pallade e Marte i sacri onori;
Amor non entri degl’incensi a parte;
E tu che nell’april de’ tuoi verd’anni
Ti donasti alla gloria, impara, o figlio,
Odiar d’amore le saette e il nome.
Selene. (Misera me!) (da sè
Perennio.   (S’egli dal padre impara,
Non odierà sì facilmente amore). (da sè

SCENA III.

Lavinia e detti.

Lavinia. Come, signore, il sagrifizio è pronto,

E Lavinia si esclude, e ’l re mio padre
Non si attende all’altar?
Enea.   Noi siam Troiani.
Sagrifichiamo ai Numi nostri. Al Lazio
Aitar non manca e sagrifizio e nume.
Lavinia. Qual nuovo stil, qual minaccioso aspetto?
De’ Latini e Troiani un popol solo
Stabilito non fu? Sull’ara istessa
Troiani numi e deità Latine
Venerar non si denno? Io più non sono
Destinata ad Enea?
Enea.   Lavinia, io venni
Pace al Lazio a cercar, non guerra e sdegni.
Turno mi provocò, Turno fu vinto.