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318 ATTO QUARTO
Selene. Ad Enea più non penso.

Lavinia.   Io non tel credo.

SCENA V.

Al suono di militari strumenti vedesi comparire Ascanio con seguito di Soldati Troiani carichi di trofei, fra’ quali la testa di Turno sopra di un’asta.

Ascanio, Lavinia e Selene.

Ascanio. Principessa, vincemmo. Osserva, osserva

Di Turno il teschio minaccioso invano.
Mira colui che alla tua reggia infesto
E al tuo tenero cuor, d’affetti invece
Usar violenza e pertinacia osava.
Ebbe l’onore il braccio mio dal busto
Di troncar l’empio capo, e il suo tiranno
Togliere al Lazio, e alle novelle imprese
Delle genti Troiane un fier nemico.
Lavinia. Valoroso garzon, le prime prove
Di tua rara fortezza alti presagi
Son di tua gloria e del nascente impero.
Selene. E chi è colui che in verde età nutrisce
Sì magnanimo cor?
Lavinia.   D’Enea t’è ignoto
L’unico figlio? Non conosci Ascanio?
Selene. Parlar ne intesi, ma nol vidi ancora.
Finch’Enea fu in Cartago, in altri mari
So ch’errava il garzon.
Ascanio.   D’Africa è dunque
La straniera gentil? (a Lavinia
Lavinia.   Selene è questa,
Di Didone germana. Hai tu contezza
Della misera donna?
Ascanio.   A me purtroppo