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316 ATTO QUARTO
Ti giuro in faccia, e tua nemica io sono.

Selene. Grazie agli Dei, mi favellasti alfine
Col linguaggio del cor. Conobbi, è vero,
I primi tratti di amistà sospetta;
Ma tant’oltre spingesti arte ed ingegno,
Che fui forzata a darti fè. Lavinia,
Che pretendi da me? Finor non ebbi
Dei tuoi don che le voci, e se mi chiedi
Anticipata la mercede, e brami
Che io renda più che non ottenni, e prima
Ch’abbia de’ doni tuoi certezza alcuna,
Generosa non sei, ma a caro prezzo
Vendi perfin gli sguardi e le parole.
Non ti basta ch’Enea scordarmi io sappia,
Vuoi che io mi leghi a tuo piacer. Non badi
Se a vergine regal convenga il nodo,
Se il desìo vi concorra e il cor l’approvi.
Fingi voler la mia fortuna, e aspiri
A volermi infelice. Ecco il tuo dono,
Ecco l’alta pietà di cui ti vanti.
Inutil vanto, menzognero affetto!
Lavinia. Se indegno al sangue tuo reputi Acate,
Poco stimi il valor, poco per esso
L’amicizia di Enea. Se il cor repugna,
Violentarti non vuo’. Libera vivi;
De’ miei doni profitta. Io non ritratto
Quant’offersi e promisi, e non ti chiedo
Nè grato cuor, nè ricompensa alcuna.
Vieni pure, alla reggia alberga, ed usa
A tuo piacer di libertade intera.
Sappi però, che fin che a Enea vicina
Libera ti vedrò, la man di sposa
Ei da me non avrà; nè fia sicuro
Del Latin soglio e di regnare in pace.
Soffri, se hai cuor, di seminar discordie,