Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXV.djvu/319


ENEA NEL LAZIO 315
Fallo, se far nol vuoi per tuo consiglio,

Per piacere a Lavinia. Io te lo chiedo
Per quell’amor che ti giurai, per quanto
O per te feci, o per te far promisi.
Possibil fia, che a chi giovarti aspira,
In compenso ti trovi ingiusta, ingrata?
Selene. Bella, egregia pietà d’alma sublime
Che benefica e dona, e agl’infelici
Del pungente rossor risparmia il peso!
Ecco al primo momento in cui ti spiaccio,
Mi ricordi non sol quant’io ti devo,
Ma i rimproveri aggiungi, e in ricompensa
Mi chiedi il cor sagrificato in dono.
Lavinia. Sai tu perchè di rammentarti ho ardito
Quanto feci per te? Perchè ti scorgo
Ai benefizi e alla pietade ingrata.
Sì, poiché tu lo vuoi, soffri il rossore
Di sentirlo ridir. Raminga, oppressa,
T’offro aita e soccorso. Al regio tetto
Meco stessa t’invito, e al tuo destino
Tutto il poter del genitore impegno.
Che ti chiedo, crudele, in ricompensa
Di sì larga pietà? Chiedoti solo
Procurar la mia pace, e tu non cessi
Di mover guerra ai miei dubbiosi affetti?
Credi tu che io non vegga esser la fonte
Del disprezzo d’Acate amor protervo,
Pertinace lusinga, e reo disegno
D’involarmi lo sposo, e forse il trono?
Ma t’inganni, se il credi: ho già finito
Teco di simular. Lo feci allora
Che giovarti potea virtù destata
D’interesse o pietà. Vano è sperarti
Ragionevole, umana. Ecco, mi spoglio
Del pacifico ammanto, e aperto sdegno