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314 ATTO QUARTO
Enea. Sì mal non pago i generosi uffizi

D’un amico fedel. Lavinia ardita
Troppo vuol, troppo chiede; e quel che brama
È dubbio sempre, e di deluder tenta.
Opra cred’io della spietata Giuno,
Nemica al sangue mio, l’accesa face
Di sì tristo Imeneo. Venere, intenta
Alla difesa mia, l’ardir m’inspira,
Pria che stringasi il cor, disciorre il nodo.
Seguimi, e non temer. Nei fati amici
Sta la mia sorte, e non di donna in seno. (parte
Acate. Oh fati oscuri! Oh instabile fortuna!
Oh fallace del cuor consiglio umano! (parte

SCENA IV.

Lavinia e Selene.

Lavinia. Lo vedesti?

Selene.   Lo vidi.
Lavinia.   E che ti sembra?
Selene. Odioso agli occhi miei.
Lavinia.   Non è d’Acate
Odioso il sembiante, e tal ti sembra
Perchè altro amor ti ha prevenuto il cuore.
Selene. Provo I’effetto, e la ragion non cerco.
Lavinia. Deh! saggia amica, a superar t’impegna
Questa prima del cuor ripulsa ignota.
Tornalo a riveder. Parla, conversa;
Avvezzati a soffrir sguardi e parole.
Credimi, spesse volte amor s’insinua;
Dove non si credea, scopronsi i pregi
O del volto, o del cor. L’odio talora
Divenir puote indifferenza, e nasce
Anche l’amor da indifferente oggetto.