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ENEA NEL LAZIO 311
Più da lontan che da vicin la temo,

E di Enea non mi fido, e finchè sciolta
Sia Selene da un laccio, io tremo, e invano
Spera Enea di vedermi amante e sposa.
Creder non vuo’ che del Troian la mente
Volga arditi pensieri, e fermo aspiri
Senza la destra mia vedersi in trono.
Tutto può la violenza; in mano ha l’armi,
Non gli manca il poter; ma chi di glorie,
Chi d’onore si vanta, alle rapine
Non rivolge il pensier, nè a un popol nuovo
L’indegna taccia un tal eroe procura.
Pace, amore, giustizia, ecco le basi
Del felice governo. Ah! tu puoi solo
Tanto ben procacciar. Tu puoi d’Italia
Far la felicità, d’Enea la gloria,
Di Lavinia il riposo. Il padre mio
Ti sarà debitor; chiamarti il Lazio
Tua difesa dovrà. Quel caro amico,
Per cui tanto sudasti, e il sangue istesso
Non ricusi versar, la sua fortuna
A te solo dovrà. Muoviti, Acate,
Per onor, per amor, per gloria e zelo.
Terminato ha il mio labbro, il tuo risponda.
Acate. Brievi saranno i detti miei sinceri.
Quel che giova ad Enea, piace ad Acate,
L’amico il chieda, e la parola impegno.
Lavinia. Ah! non poteasi da un eroe Troiano
Men virtute sperar. Sì, tu mi rendi
La smarrita mia pace. Enea consiglia;
Lieto sarà. Se non lo fosse, oh Numi!
Saria certo l’inganno. Odilo; io spero
Ch’egli ti pregherà. Selene anch’essa
Giubilerà di sua fortuna. Io corro
Della misera in traccia. Ah non più misera,