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310 ATTO QUARTO
Lavinia. Provai di farlo, e il mio valor non regge.

Acate. Cambia il disegno, e fa che vada altrove
Provveduta e soccorsa.
Lavinia.   Al preso impegno
Più non lice mancar.
Acate.   È per te adunque
Ogni speme perduta, ogni consiglio?
Lavinia. Un consiglio, una speme ancor mi resta.
Acate. E qual fia?
Lavinia.   Che Selene altrui legata
Sia con eterno indissolubil nodo.
Acate. Opportuno è il rimedio. A lei sol resta
Degno sposo trovar. Chi in regia culla
Ha sortito il natal, non si abbandona
A sposo indegno di real grandezza.
Lavinia. Bastar ben puote a un’infelice oppressa
Sposo illustre ottener, che nutra in seno
Sangue di eroi, se non possiede un trono.
Acate. Speri tu rinvenirlo?
Lavinia.   Ah! sì, lo spero.
Quel valoroso, quel fedele Acate
D’Enea compagno, e nelle sue sventure
Seguace onor, consolatore e scorta,
Negherà forse un testimon novello
Di sincera amistade al caro amico?
(vedendolo disposto a parlare
Lasciami dir, non mi troncar gli accenti
Pria che il labbro li compia. Enea qui venne
Patria e regno a cercar. La prima base
Dell’impero novello a lui promesso
È del Lazio il terreno, ed io son quella
Che gli apro il varco e gli assicuro il trono.
L’amo, egli è ver, ma non so quanto amore
Resister possa ai miei gelosi affanni.
Nè giova il dir: puoi discacciar Selene;