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300 ATTO TERZO
Selene. Non ho d’uopo di te. Tienti i tuoi doni.

Lavinia. (Ch’ella parta non basta. Enea, se l’ama,
Potria seguirla, o rintracciarla un giorno). (da sè
Enea. Se quanto io t’offro disprezzar ti piace,
Bastami averti il mio soccorso offerto.
Adempito ho al dover. Scusa, o Selene,
Forzato io son del re Latino in nome,
Sollecitar la tua partenza.
Selene.   In nome
Del re Latin? Servi nel Lazio, e regni?
Enea. Non regno ancor: servo non sono, è vero,
Ma rispetto chi regna.
Selene.   Ah! sì, sul trono
Dee condurti Lavinia, e temi, ingrato,
L’aspetto mio che ti rimorde, e il nome
Di due germane a tristo fin condotte.
Partirò, non temer. Raminga e sola
Popoli scorrerò, provincie e regni,
E la fama di Enea, dovunque io vada,
Empirà il mondo d’ignominia e scorno.
Enea. (Ah! toglietemi, o Numi, un tristo oggetto
Di rimorso e d’orror!) (da sè, agitato
Lavinia.   Signor, perdona,
Grazia ti chiedo, e se fia ver che m’ami,
Contrastarla non dei.
Enea.   Parla, e disponi.
Lavinia. Fa che resti Selene, lo non ho core
Di vederla partir. Regal donzella,
Sola, inerme, raminga, a quai perigli
Non esposta saria? Se da sè brama
Menar vita tranquilla, abbonda il Lazio
Di terreni fecondi, e il re mio padre
Crudo non è per denegar pietade,
Se pietà gli si chieda. Io stessa, io stessa
Getterommi al suo piè, grazia chiedendo