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ENEA NEL LAZIO | 299 |
Men però non apprezzo il sangue, il grado.
Di pietà non mi pento, e in opra ogn’arte
Porrò per non lasciarti a’ tuoi deliri.
(Vedrem se ha più poter pietade o orgoglio). (da sè
Selene. (Oh degno cor, se non mentisse il labbro). (da sè
SCENA III.
Enea e le suddette.
Che sospetto o timor ne abbia la sposa). (da sè
Selene. (Eccolo il mentitor). (da sè
Lavinia. Enea, perdona
Se ardir mi spinse oltre il dovere al campo.
Poiché t’intesi ragionar dei fatti
Della misera Dido, e dell’afflitta
Sventurata sorella, il cuor mi punse
Pietà di quest’abbandonata e sola.
A conoscerla venni, e a offrirle un segno
D’amicizia e d’amor. Spiacer non credo
Con sì giusto disegno al tuo bel core.
Enea. (Temo il livor di gelosia celato). (da sè
Selene. (Scoppierà forse il suo velen frappoco). (da sè
Enea. Lodo, Lavinia, in ogni guisa il saggio
Pensamento di pace, e non discaro
Esser deve a Selene. Ella ben merta
Generosa pietà che la ristori
De’ sofferti suoi mali. Italia ancora
Scarso m’offre terren per darle asilo
Degno di lei, che in regia culla è nata.
Scegli, Selene, ove albergar ti piaccia
Oltre il mare Tirreno, e offrirti io posso
A comprar terre ed acquistarti un seggio,
Oro che basti e fida scorta e legni.